Sembra essere una nuova bella giornata qui a Mauthausen, una leggera nebbiolina vela il cielo che appare grigio ed azzurro.
Oggi è il giorno che aspettavamo da quando siamo partiti, quello dedicato alla visita del campo di concentramento di Mauthausen.
La colazione che ci aspetta nella sala da pranzo è esigua e senza buffet, cosa che ci impedisce il solito sovraccarico di calorie, provo a chiedere quanto più possibile ma non riesco a rimediare molto di più di un po di latte, un caffè, delle marmellate ed un panino.
Il campo di Mauthausen si trova in cima ad una bella collina, quindi decidiamo di lasciare le borse in albergo per poi riprenderle nel pomeriggio.
Le bici sembrano leggerissime senza tutto il bagaglio, sembra quasi di volare sull'asfalto.
La salita inizia verso il campo inizia poco fuori dalla città. Nel primo tratto sembra affrontabile sui pedali, lascio Simona al suo trascinmento manuale della bici e mi lancio in una lenta pedalata in salita. Per un pò riesco a restare in sella e spingere su quella pesante bici da viaggio, supero una famiglia che incede lentamente sui pedali, madre e bambini, si intende, il padre è nettamente più in forze di me e lo vedo sprintare agevolmente in piedi sui pedali.
Faccio un curvone, poi l'altro, poi un altro ancora e mi rendo conto di non potercela fare, i pochi rapporti da viaggio non mi bastano ad affrontare la pendenza in aumento e le mie gambe sono sempre più rigide.
Quando nelle ultime curve sono allo stremo e tutti i componenti dell'allegra famiglia con le loro mounten bike mi superano lasciandomi affannato sul ciglio della strada, capisco che è il momento di arrendersi.
Scendo dai pedali e mi riposo aspettando Simona che ho perso di vista da un bel pò di tempo.
Quando finalmente Simona mi ha raggiunto e riprendiamo la salita spingendo a mano la bici che ora ci sembra pesante ed inutile, siamo alle ultime curve, presto si comincerà a vedere da lontano la costruzione fortificata del campo.
Lascio andare avanti simona mentre mi incanto a fotografare un stalla con delle mucche intente a fare colazione. Ne ho viste poche in questo viaggio lungo il danubio e mi mancano i pascoli verdi della ciclabile degli Alti Tauri dove potevo fermarmi ad accarezzarle.
Saluto il gruppo di mucche che con tutte quelle austriache mi fornisce un latte a cui stranamente non sono intollerante e risalgo sui pedali per l'ultimo sforzo.
Il campo è sempre più vicino, riesco a vederne le mura ed una torretta di guardia che osserva tutta la valle.
Quando arrivamo non sono molte le bici parcheggiate, dobbiamo aver scelto un buon orario, facciamo subito il biglietto d'ingresso che costa pochissimo ed andiamo alla ricerca della visita guidata in italiano, che ha un costo aggiuntivo di 5€ rispetto al biglietto d'ingresso.
La visita guidata italiana è partita da cinque minuti e se non vogliamo aspettare un ora che parta la successiva dobbiamo tentare di raggiungerli.
Per fortuna sono ancora davanti all'ingresso principale del campo, la nostra guida è un signore molto gentile e sensibile che ci introduce al campo con una dolcezza unica.
Insieme ad un fitto gruppo di italiani e qualche imbucato spagnolo che comprende la nostra lingua ci apprestiamo ad attraversare il cancello principale del campo.
Da fuori il campo appare come un enorme caserma ma appena varcata la soglia di ingresso si percepisce un forte stato di angoscia.
Siamo nel deserto piazzale principale ma stranamente si sente come la presenza di molte persone, quasi riesco a vedere le centinaia di persone in fila che attendono di essere imprigionate nel campo ed i militari intorno che urlano e picchiano senza mostrare alcuna pietà.
Provo ad immaginare cosa abbiano provato le persone entrando nel campo, quella sensazione di insicurezza ed abbandono, quella paura di non sapere ne sarebbero mai usciti vivi e quel terrore di un atroce sofferenza che non vorrebbero mai conoscere.
Non mi serve di sforzarmi per provare queste sensazioni, basta la suggestione del luogo, i racconti della guida e la mia sensibilità per farmi avere paura e per farmi entrare in uno stato di angoscia profonda.
Nonostante questa senzazione forte di paura e dolore, non voglio scappare da questo luogo, morbosamente voglio conoscere e capire, osservare ogni muro, ogni metro di grigio asfalto, quasi come se riuscendo a condividre questi sentimenti potessi portare via un briciolo della sofferenza che hanno provato migliaia di persone.
Una sofferenza ingiustificata di cui spesso ci dimentichiamo o ci fà comodo fingere che non sia mai esistita.
Invece è qui, si respira, si percepisce, ti entra dentro e si diffonde anche nel corpo, è stancante ed opprimente.
Chiedo alla guida quanto gli austriaci fossero contrari alla deportazione e perchè ne sono stati complici ed artefici ma riesco a comprendere perfettamente la risposta, un paese alleato cha altro avrebbe potuto fare se non partecipare attivamente alle atrocità commesse, come noi italiani daltronde, hanno fatto soltanto quello che gli veniva chiesto di fare spesso fingendo di non sapere quello che succedeva nei campi, così come per lavarsene la coscienza o non dover affrontarne la barbaria.
Simona è vicino a me e segue in uno strano silenzio, non parliamo quasi più e stiamo ad ascoltare, capisco che come tutti noi è chiusa in se stessa e sta provando lo stesso dolore, scambiamo qualche parola di tanto in tanto, la prendo per mano e cerco di trasmetterle un pochino di conforto ma non sono sicuro di riuscirci.
Facciamo il giro del muro di cinta e dall'alto osservo in silenzio la valle circostante, sembra muta ed immobile, sofferente e piena di occhi che guardano impauriti. Arrivati all'ingresso del piazzale interno, dove tenevano i prigionieri la guida ci racconta come avveniva l'ingresso al campo, ci spiegava quanto fosse dura la tecnica di annullamento dell'io che mettevano in atto i militari per convicere le persone di essere pari a degli animali, senza coscienza e senza possibilità se non quella di obbidire, lavorare ed infine morire stremati.
E' una scena talmente atroce dal punto di vista dell'annullamento dell'io che ho in parte rimossso dalla mia memoria perchè non in grado umanamente e coscientemente di accettarla.
C'è una statua di un uomo imprigionato nel muro che nudo si stringe dal freddo è illuminata dal sole ed è meravigliosa, chiediamo che cosa rappresenti e ci viene spiegata la storia di un comandante russo e le sue truppe che dopo essere catturato è stato portato al campo di concentramento e punito con la morte per il semplice fatto di essere un nemico.
Il comandante, insieme a tutti i suoi uomini, sono stati denudati e messi al freddo dell'inverno lungo il muro, poi con una pompa sono stati bagnati con acqua fredda fino a che non sono morti per congelamento. Una morte atroce che sono sicuro non meriti nemmeno il peggior nemico.
Ho voluto fotografare questa statua per portarmi nel cuore il ricordo del dolore e ricordarmi di questo atto di codardia per raccontarlo un giorno a chi ne fosse interessato.
Un nuovo enorme cancello segnava la parte esterna del campo da quella più interna dove alloggiavano gli i prigionieri e vivevano, si fà per dire, le loro tristi giornate.
Un senso di angoscia e sgomento sempre maggiore si impossessava di me andando avanti nella visita.
Dapprima la guida ci ha mostrato gli alloggi, degli enormi padiglioni con serie interminabili di letti a castello, dove lo spazio vitale si riduceva a pochissimi metri quadri. Erano stati ricostruiti per dare l'idea di come fossero in origine.
I dormitori così ampi ed allo stesso tempo opprimenti sembravano ancora pieni di quelle masse di uomini ridotti a pelle ed ossa che dormivano accatastati nei letti a castelli, spesso in un letto dovevano dormire in due per il sempre crescente numero di deportati che entrava nel campo.
E se l'immaginazione non bastava a comprendere il dolore e la sofferenza inferta a propri simili da altre esseri umani, ci pensavano le fotografi
e a trasmettere tutto il senso di vuoto, dolore, sofferenza, angoscia e paura con cui i deportati dovevano fare fronte ogni giorno.
Ci si svegliava non sapendo se quella giornata dovesse essere l'ultima, ci si lavava in enormi stanza conde delle fontane tonde e poi in fila si andava nelle miniere e nei campi a lavorare, lavorare senza sosta fino allo sfinimento fisico, a volte alla morte.
Mi sono soffermato un attimo da solo nelle stanze dei lavatoi, quando tutto il gruppo di visitatori è uscito per cercare di stabilire un contatto diretto con il tempo passato ed il dolore ancora vivo nelle pareti e sul freddo marmo della tonda fontana, un attimo in cui mi sono sentito talmente vicino a quel dolore da immaginare i bambini piangere e fare i capricci, mentre le madri cercavano di affrontare un'altra dura giornata. Potevo quasi percepire una confusione di persone che si affrettavano a lavarsi, persone così immensamente tristi e rassegnate da sembrare quasi fantasmi. Si perdevano tra gli spigoli vivi delle loro ossa che quasi sembravano bucarne la pelle e le sbiadite strisce delle tute carcerarie, persone senza un futuro alle quali era stata portata via ogni minima dignità.
Ho pianto, dentro di me, e sono uscito fuori da quel padiglione pieno di vite morte.
Il gruppo si apprestava a visitare un cimitero all'aperto dove un tentativo di fuga era stato represso nel sangue, erano seppeliti li sotto la vana speranza di liberarsi e ritrovare la libertà perduta.
Tutto quel prato verde ed un magnifico sole riuscivano a donarmi un pò di pace e forse, in qualche modo, lo donavano anche alle anime dei tanti umomini sempolti li.
Attraversato il piazzale la guida ci ha accompagnato nei locali delle docce, prima dei quali ci ha mostrato un forno sterilizzatore dove venivano messe le tutte dei prigionieri per sterilizzarle. Le docce erano disposte in un ampio salone, collegate in un filare di tubi scoperti pendenti dal soffitto come serpenti assatanati. Qui i detenuti venivano accatastati nudi e lavati con getti di acqua fredda alternata ad acqua bollente, si faceva di tutto per annullare completamente l'io delle persone e renderle innoque ed inoffensive, l'unico modo che avevano pochi uomini per controllarne migliaia.
Dopo le docce è stata la volta della camera a gas, mi incuriosiva da sempre sapere come fosse fatta una camera a gas, nei miei sogni me la aspettavo come un contenitore di metallo dove venivano fatte entrare le persone e invece, si trattava di una camera come le altre, completamente mattonata di bianco, con una porta di ingresso ed un foro di immissione per il gas. La guida raccontava come avveniva l'omicidio di massa nella camera a gas e pian piano la sua voce mi sembrava più distante, fino quasi a svanire, c'ero solo io e la camera bianca e decine di persone venivano fatte entrare, mamme con bambini che piangevano disperate non conoscendo la sorte che li aspettava, mi immaginavo che nel terrore le madri abbracciassero i loro figli aspettando che sopragiungesse la morte. Avevo le lacrime agli occhi e vedevo tutti quei corpi ammassati per terra, degli uomini con gli occhi di ghiaccio, con ghigni malefici portavano via i corpi dal terreno fumando le loro sigarette di vittoria. Nella stanza successiva, con i forni crematori non capivo più nemmneno il motivo per cui ero li, confuso seguivo il gruppo di persone che in silenzio osservava le migliaia di foto lasciate sul muro come testimonianza di chi in quel luogo era passato o vi era rimasto per sempre. Non volevo più uscire da quel posto, come se ormai fossi assuefatto al dolore e perso in chissà quale realtà alternativa vagavo ed osservavo, leggevo le piccole scritte lasciate dai parenti delle vittime ma non riuscivo più a comprenderle. Sbucati all'esterno dell'edificio le persone non parlavano più, fumavano nervosamente le loro sigarette mentre la guida illustrava alcune delle targhe commemorative provenienti da tutto il mondo, c'era il sole ma non scaldava, avevo un vuoto nello stomaco che non capivo se potesse essere fame, dolore, confusione mentale o chissà che cosa.
La visita guidata era finita, dopo aver ringraziato e salutato la guida siamo rimasti per un pò a vagare tra i giardini dove un tempo sorgevano gli altri casermoni di accatastamento esseri umani, e poi siamo andati via.
Uscendo dal campo ho notato una cosa che accomunava tutti i visitatori, tutti quelli che uscivano dal campo con la testa china ed i volti cupi, nessuno parlava ed ognuno procedeva per conto proprio avvolto in chissà quale pensiero.
E' stata un'esperienza toccante che consiglio di fare a tutti nella vita, perchè è giusto che alcune cose non vengano mai cancellate dalla memoria dell'uomo e perchè tutte quelle anime in pena possano sentire il calore di qualche visitatore.
Saliti sulle nostre bici ci siamo lanciati in una discesa sfrenata verso la pianura, senza quasi mai toccare il freno per far si che l'adrenalina ed il vento in qualche modo lavassero via tutta quella sensazione di tristezza che non voleva più abbandonarci.
Scesi in paese abbiamo riagganciato le borse che ci aspettavano alla pensione e siamo ripartiti lungo la ciclabile verso Enns, una cittadina che volevamo visitare. Era da poco passata ora di pranzo e pedalando ci era tornata fame. Un piccolo bar birreria, offriva un menù turistico a 5,90€, c'erano un primo, un secondo ed una bibita ma dato l'orario, erano appena le due ed un quarto, era rimasto un solo unico menù, così per farci contenti la signora del locale ci ha offerto una viennese con patatine e bibita allo stesso prezzo del menu. Ci voleva un pochino di frittura per pedalare in leggerezza al pomeriggio e l'abbiamo presa e divorata in pochi minuti. Una consultatina alla guida per capire cosa c'era da vedere ad Enns e siamo ripartiti.
Sul battello che ci ha portato sulla riva opposta abbiamo trovato il tempo per rilassarci e scattare qualche foto ricordo del viaggio.
Arrivati in città siamo rimasti un tantino delusi, non è che ne valesse proprio la pena visitarla.
La guida parlava di una chiesa un tantino lontana del centro che non ci andava di visitare, quindi ci siamo accontentati di una chiesa neogotica semimoderna, completamente storta. La navata principale aveva un altare centrale che separava la chiesa in due, dal lato dell'ingresso lo stile era neogotico e dall'altro lato moderno e minimalista. Dal lato neogotico la chiesa presentava una seconda navata molto ampia a sinistra della principale che terminava all'altezza dell'altare e che quindi ampliava solo il lato neogotico della chiesa. Difficilmente ho visto in vita mia una chiesa così anomala, strana e sinceramente brutta.
Stupiti da questa moderna concezione di chiesa siamo andati via da Enns per raggiungere quanto prima Greis. Simona era un tantino stanca quindi volevamo trovare un posto dove alloggiare prima di arrivare a Greis che distava ancora molti chilometri.
La prima zona abitata che incontreremo sarà Kirschstein, proveremo a trovare un posticino li.
Lungo la strada improvvisamente notiamo uno strano distributore, ci avvicinam per dare un'occhiata e ci accorgiamo che si tratta di un distributore di latte fresco.
Non ne avevo mai visto uno e subito mi prende la voglia di comprare del latte, pare costi soltanto ottanta centesimi al litro. Peccato non ci siano contenitori dove metterlo, l'unica cosa da fare è sfruttare la borraccia. La svuoto e la inserisco sotto il bocchettone della mucca meccanica, infilo le mie monetine e come per magia un bel litro di latte freschissimo viene fuori. Riempio due borracce e ripulisco con lo scottex apposito le gocce cadute nella macchinetta.
E' davvero buono e fresco, nonostante in italia io sia intollerante al latte, ne bevo una borraccia intera, prima di ripartire felice e carico di nuova energia.
Mentre in italia si trovano i bancomat, qui per strada è facile trovare i milchautomat.
E pensare che in italia un tempo avevamo dei bei pascoli ed uno splendido latte che avremmo potuto distribuire ad un prezzo così basso evitando la distribuzione, la plastica e la parmalat...
Arriviamo a
Kirschstein senza quasi accorgercene, sembra una cittania fantasma, piccola e deserta, non c'è un anima ne un posto dove restare a dormire, decidiamo di andare avanti.
Mettendorf che si trova qualche chilometro più avanti è ancora più piccola, quasi non ci si accorge della sua esistenza, sono tutti caseggiati sparsi in piena campagnia che non hanno l'aspetto di cittadine, è difficile trovare un posto per dormire qui, così siamo costretti a pedalare oltre.
Si sta facendo tardi e le forze cominciano a scemare, dobbiamo per forza trovare un posto per dormire, Greis dista troppo e ce la sentiamo di pedalare fino li.
Incontriamo un gruppo di ragazzini spagnoli disperati che come noi sono alla ricerca di un posto per dormire, sono giovani ed hanno più energie e pur sforzandomi non riesco ad arrivare prima di loro negli alberghi sulla strada per chiedere informazioni.
Proviamo ad Edinger ma niente da fare, ne per noi ne per gli spagnoli che sono molti di più come numero c'e posto. Appena si fermano ad un'albergo per chiedere ne approfitto mi raccomando con Simona di tenere la radio accesa e parto a razzo per avvantaggiarmi su gli altri cercastanza.
Ci vogliono sei chilometri di pedalata prima di raggiungere un'altro minuscolo centro abitato, Doreuch, ma anche li il risultato è lo stesso, tutto pieno.
Arrivo in una grande pensione sulla strada dove mi raggiunge anche il gruppo degli spagnoli, niente, tutto pieno, i proprietari sorridenti ci dicono che non troveremo niente fino a
Greis.
Non ci restano molte speranze, comincia a farsi veramente tardi, abbiamo fame e siamo stanchi. Avviso Simona che non ci resta che pedalare fino a Grein e parto a razzo, una lunga e strenuante pedalata che mi porta fino al centro della grande cittadina.
Comincio a chiedere in giro, i privati mi dicono che è tutto pieno, provo con le pensioni a tre stelle, poi quelle a quattro, niente, è tutto maledettamente strapieno.
Chiedo disperato ai ristoranti e mi mandano a chiedere ad un albergo sulla montagna, cinque chilometri di pedalata in salita per non trovare posto.
Comincia ad imbrunire, guardo l'orologio e sono le venti passate, arriva anche Simona e le spiego la situazione disperata via radio, chiedendole di raggiungermi. Ci sono dei privati qui su ma a quanto pare sono pieni.
Disperato gli chiedo aiuto, io in italiano e loro in tedesco intavoliamo una discussione incomprensibile, cominciano a fare telefonate ai parenti e gli amici ma nessuno pare abbia un posto per noi. Una vicina incuriosita dalla discussione si affaccia, chiediamo anche a lei ma dice che non ha posto.
Dopo molti minuti di disperazione, quando ormai avevo perduto ogni speranza la vicina riappare dalla finestra e mi spiega in tedesco che ha la camera per noi, meravigliato accetto facendomi tradurre qualche parola da una anziana signora che gentilmente si era avvicinata per aiutarci a tradurre qualche parola in un misto tra inglese ed italiano.
Ringrazio la signora e chiamo Simona per radio dicendole che siamo salvi, abbiamo un posto dove stare, deve raggiungermi sulla montagna prendendo la prima strada in salita all'imbocco della cittadina.
E' difficile spiegare alla signora che devo aspettare la mia compagna rimasta dietro perchè più lenta a pedalare e per fortuna quando disperato non sapevo più cosa dirle vedo Simona sbucare in fondo alla strada, faccio segno alla signora di guardare in basso e finalmente capisce.
Ci porta nella nostra stanza al piano di sopra e ci chiede che cosa vogliamo per colazione, ci mostra il bagno e ci dice che servirà la colazione in una graziosa stanzetta di fronte alla nostra camera alle otto.
Comincia ad elencarci le cose che può servirci per colazione, ci chiede se vogliamo del caffè e diciamo di si, del thè, delle marmellate, fette biscottate, bratwurstel, panini, burro, uova strapazzate, latte e continuiamo a dire sempre di si. Mi accorgo che ci guarda un pò perplessa ma poi ci saluta e sparisce al piano di sotto.
Non riesco nemmeno più a sentire la presenza di qualcun altro nella casa per quanto sono silenziosi, così cerchiamo di adeguarci e fare il minimo rumore possibile.
E' troppo tardi per lavarci dobbiamo subito cambiarci ed andare a cercare da mangiare.
Fino al centro sono due chilometri di discesa, decidiamo di andare a piedi, Simona non vuole pedalare per la stanchezza. Quando raggiungiamo il centro è tardi, tutti sembrano aver chiuso la cucina, c'è il rischio di restare digiuni, poi miracolosamente troviamo un ristorante ancora aperto, prendiamo una buon goulash ed un bel dolce gelato prodotto dall'algida tedesca.
Non ci restava che rilassarsi dopo la dura giornata sui pedali facendo una passeggiatina lungo lo scuro danubio, il cielo era pieno di stelle, lasciando presupporre una bella giornata di sole.
Dopo aver goduto delle stelle, pian pianino ci siamo incamminati sulla salita verso la nostra casa per la notte, in silenzio abbiamo girato la chiave nella serratura e salito le scale per poi crollare nel letto assonnati verso la mezzanotte.