Otranto è meravigliosa, popolata di notte da migliaia di turisti in cerca di divertimento e souvenir di viaggio.
Le bianche casette sono così vicine da creare vicoletti stretti e pittoreschi che spesso si affacciano sul mare azzurro e limpido del porto. Un porto piccolo, ma capace di ospitare grandi navi da crociera.
Un azzurro chiarissimo dove il fondale è più basso ed increspato di un blu profondo negli spazi profondi oltre gli scogli grigi, erosi dal tempo, con il loro compito di arginare la forza del mare in tempesta.
Il piccolo centro storico è ancora racchiuso dalle medievali mura di cinta, ricostruite e rinforzate negli anni dopo la rovinosa invasione turca, un sfortunato caso del destino, considerando che i Turchi sono approdati nel porto di Otranto per ripararsi da una tempesta che gli impediva la navigazione ed hanno deciso di conquistare la cittadina.
Niente però accade senza una ragione specifica, oppure se non si vuole credere al destino si potrebbe comunque pensare che ogni sfortuna ha in se qualcosa di positivo.
Se adesso il carattere di Otranto, le tradizioni, i colori ed i cibi di questa cittadina ricordano l'oriente ma allo stesso tempo si fondono perfettamente con le tradizioni occidentali borboniche, se si respira un aria mistica e si prova la sensazione di trovarsi in un luogo magico, lo si deve anche ai Turchi e alla loro dominazione.
Un cambiamento profondo che non intacca alle radici le tradizioni difese dalle anime dei tanti martiri che morirono didendendo l'antica religiosità cristiana e l'identità storica, ma ne plasma e fonde il carattere ed influenza gli aspetti quotidiani, creando un luogo fuori dal tempo, libero da vincoli ortodossi, una città magica.
In postazione strategica sul porto, il castello, negli anni ricostruito e fortificato più volte per la difesa cittadina, fà da splendido ornamento al già meraviglioso centro storico.
Seppur svuotato di ogni traccia storica di vita, conserva ancora l'architettura delle volte circolari nelle torri, con le botole poste al centro per permettere di accedere velocemente ai vari piani. Una architettura studiata per l'acustica di trasmissione del suono, in modo da poter impartire gli ordini ed essere sicuri che si trasmettessero immediatamente a tutta la torre...
I merli di ornamento sono ormai stati rimossi e le mura portate ad uno spessore di 8 metri circa per attudire gli attacchi abilmente fronteggiabili grazie alle batterie inclinate costruite su ogni lato del castello.
Geniale è il sistema di difesa ideato dagli angioini, composto da torri a picco sul mare presenti lungo tutta la costa salentina, tutta la calabria fino ai confini del regno in campania, che diffondenvano rapidamente l'allarme per i tentativi di invasione dal mare, tramite giochi di specchi e segnali di fumo che rapidamente si diffondevano da una torre all'altra fino a raggiungere il centro di comando dell'impero...
Una bellissima leggenda popolare, narra di una torre faro per la navigazione, la torre del serpente, ancora visibile dalla piazza d'armi del castello. I pescatori ed i navigatori finivano spesso schiantati sulle rocce quando si trovavano nei pressi della torre, pechè misteriosamente la luce che faceva da faro, pare si spegnesse laciandoli senza guida nell'oscurità della notte. Il faro che era alimentato ad olio, si racconta fosse preda di un enorme serpente marino che viveva in una delle tante grotte naturali della costa. Di notte il serpente saliva nella torre a bere tutto l'olio, causando lo spegnimento del faro.
In realtà le imbarcazioni finivano distrutte attirate nei molti vortici e mulinelli presenti lungo tutte le frastagliate coste di Otranto. Si capisce però che è molto più bello raccontare della leggenda fantastica del serpente, piuttosto che la semplice realtà dei fatti, cosicchè si riesca a lasciare un segno più profondo nell'immaginazione di chi ascolta la storia del luogo.
Passeggiando per i vicoli del centro, mi tornano in mente le bianche stradine dei paesini sulla costiera amalfitana, e di notte,
le luci dei lampioni che illuminano i vicoletti, i vivaci colori dei negozi, i turisti che passeggiano per le strade e gli squarci di mare alla fine delle strade, danno l'idea, se visto dall'esterno di un magnifico presepe, forgiato da artistiche mani su di uno scoglio a picco sul mare.
Le persone per strada sono anche troppe, tanto che riuscire a cenare in uno qualsiasi dei ristorantini sul mare o in città ci è risultato impossibile.
I tavoli erano tutti prenotati e le liste di attesa interminabili al punto che non accettavano più, l'aggiunta nomi.
Costretti così a cenare con un panino alla finta salsiccia piccante calabrese, visto che ne ho mangiati così tanti in passato da saper
riconoscere una salsiccia originale da una squallida imitazione, abbiamo attraversato i fiumi in piena di persone in giro per le
bancarelle e seguendone i flussi obbligati di viabilità, come quando in mare si seguono le correnti ci siamo diretti sulla via del ritorno verso il campeggio.
Non avevamo la forza di attendere i fuochi d'artificio fino alle 2:00 del mattino, perché come in ogni nostro giorno di questa vacanza, eravamo in piedi dalle prime luci del mattino.
Stanchi della mattinata passata al mare, nella bellissima insenatura di
Porto Badisco, distante una quindicina di chilometri da Otranto.
Dove abili mani preparavano dei favolosi piatti di ricci di mare appena pescati, ancora oggi mi domando cosa mi abbia impedito di sedermi li e farne una scorpacciata,
forse la triste situazione economica di due precari in vacanza che devono fare tutto nella più ristretta economia.
In un certo senso anche positiva nel caso specifico, perché essendo Simona allergica ad ogni tipo di frutto di mare, avrebbe dovuto restare li a guardare me che ne facevo abuso,
causandomi di sicuro un imbarazzante senso di colpa.
Tornando alla sera, mancavano più di due ore all'inizio dei fuochi di artificio ed i chilometri di passeggiata percorsi nel pomeriggio a Lecce e lo stress del
continuo rabbocco d'acqua nell'auto, ci avevano sfiancati al punto che alle 23:00 eravamo già di ritorno verso la fresca e comoda tenda, nel rumoroso campeggio.
Una sola cosa è riuscita a rallentare il nostro viaggio di ritorno verso il riposo, due pescatori che da qualche sera sostavano sotto il portico delle mura cittadine.
Avevano delle grosse ceste di legno, piene di una morbida ed bagnata poltiglia gialla che con le mani impastavano e spostavano tra i vari tini.
Emanavano un fortissimo odore di pesce ed aceto e tutte le persone che non si allontanavano disgustate dal forte odore, si avvicinavano incuriosite per provare, servendosi con le proprie mani da quelle dei pescatori.
Erano sarde o alici freschissime, fritte e poi marinate nell'aceto, impastate poi i quella strana sostanza gialla, che altro non era che mollica di pane sbriciolata e spugnata nell'aceto.
Era impossibile resistere ad una tale visione culinaria tradizionalistica, restandone soltanto spettatore, cosicchè, in un coppino ricavato da un foglio di carta cerata riempito,
riempito poi con l'ausilio delle sole mani ci è stato servito quello che poi è rimasto il più forte ricordo culinario e tradizionale di otranto e del salento.
L'abbiamo consumato per strada, con le mani impiastricciate mentre il sapore intenso mi riempiva lo stomaco ed il cuore e la gente che osservava le nostre figure avide di quella strana sostanza, pescata dalla carta con le mani.
(Proprio adesso mentre ricopio la pagina del mio diario sul sito, mi sta tornando l'acquolina in bocca al solo pensiero).
Ne ho provate di specialità salentine, il pasticciotto, che è un dolce di pasta frolla ripieno di crema, con una forma di barchetta, che spesso provo a mangiare nelle varie zone della puglia,
per comprenderne il motivo della sua larga diffusione dato che mai il suo sapore mi ha lasciato soddisfatto.
Sono convinto infatti che i dolci migliori di italia siano contesi tra campania e sicilia, con la sicilia in testa di poche misure, perchè da buongustaio napoletano appassionato di cucina, potrei elencare tutta una serie di dolci tipici campani, capaci di lasciarmi senza parole.
Mentre tutte le altre regioni, credo si contendano posti che ripartono dal settimo-ottavo in giù, perché nel mezzo c'è un abisso senza fine.
Poi c'è il rustico, un impasto di sfoglia rotondo, con al centro un ripieno di mozzarella e pomodoro, molto buono in certi bar o forni, appena mangiabile in altri. Ricordo infatti di aver provato il più buono di sempre proprio ieri in forno rosticceria al centro di Lecce.
Poi c'è la puccia che è una pizza bianca tagliata al centro e riempita con le cose più svariate, dall'insalata ai peperoni, buona si, ma non paragonabile alla pizza bianca con la mortadella di Roma.
Ci sono i Pizzi, che al singolare non so se sia corretto chiamare Pizzo, un panetto di pasta di pizza impastato insieme ad olive nere con il nocciolo, un pò di pomodoro, cipolle fresche ed il peperoncino. Molto buono anche come sostituto del semplice pane a tavola.
Ma la cosa che prediligo e che amo prendere più volte al giorno quando sono nel salento è il caffè in ghiaccio con latte di mandorla, che è una variante del classico caffè caldo in ghiaccio, può sembrare qualcosa di strano,
ma una volta assaggiato, non tornerete a prendere il normale caffè.
Credo di essermi perso un attimo parlando di cibo, sfortunatamente non avevo i soldi per gustare tutte altre specialità culinarie tipiche che si possono ordinare seduti ad un tavolo di ristorante, come il
riso patate e cozze,
le
orecchiette con le cime di rape e tantissime pietanze meravigliose che fanno parte dei miei ricordi di infanzia, quando i miei mi portavano spesso in visita per queste terre.
In realtà sono stato concepito proprio in puglia, a Bari, poi sono nato e cresciuto a Napoli per mantenere inalterate le origini dei miei genitori e parenti. Difatti mio padre chiese il trasferimento a Napoli pochi mesi
dopo la mia nascita dopo che per dieci anni aveva lavorato sulla centrale elettrica a Bari.
Con un carico d'acqua di 20 litri, abbiamo invano cercato la cava di bauxite, rifornendo l'assetata auto ad ogni rallentamento
del traffico o sosta, purtroppo ne il tom tom, ne i passanti hanno saputo indicarci la giusta
via d'accesso a questa cava ormai abbandonata, dai mille riflessi colorati.
Per fortuna ci siamo consolati ammirando le bellissime
coste frastagliate di Orte, immense distese di rocce a strapiombo sul mare, che vagamente
davano la sensazione di trovarsi sulle highland scozzesi.
A vista d'occhio non si riusciva a scorgere nemmeno una casa, solo immense
pianure desolata, alberi, foresta e mare, un faro da lontano su di una sporgenza della
roccia e dalla parte opposta i resti della torre del serpente. Avrei voluto saltare in sella di quelle comitive a cavallo che ho visto passare,
ma avrei dovuto abbandonare Simona li con la sua paura di cavalcare...