Non è stato breve il tratto di mare percorso per raggiungere Filicudi partendo da Vulcano, tanto da non desiderare altro che toccare terra,
farmi una doccia ed abbandonarmi su qualsiasi cosa di somigliante ad un letto avessi trovato, per poi riprendermi pochi attimi prima della prossima mirabilante cenetta.
Più di un ora di navigazione immersi nel blu più intenso, di un mare limpido e piatto come se fosse di vetro ed un cielo azzurro scuro senza nemmeno una nuvola.
Lentamente la nostra barca scivolava sull'acqua lasciando una scia di riflessi argentati, a prua si vedeva la piccola isola di Filicudi crescere e definirsi nei contorni,
emergere dalla coltre di foschia che da lontano la celava agli sguardi incuriositi.
Il sole ormai aveva perso la sua forza e si apprestava a tuffarsi nel mare caldo, nel punto che gli occhi delineano come unione tra cielo e mare. Gli ultimi tiepidi raggi di sole
tingevano il mare dei toni del rosso mentre il cielo si irrorava di un magenta screziato di viola.
La barca finalmente attraccava nel minuscolo molo di Filicudi, dove avveniva il nostro sbarco profughi, armati di buste, zaini, valige e quanto altro, ci incamminavamo affranti verso l'albergo.
Nell'atrio dell'albergo vigeva una confusione totale, una folla di persone non tutte appartenenti al nostro gruppo, discutevano per farsi assegnare le stanze,
un gruppetto dei nostri era alla reception a chiedere le chiavi delle stanze, qualcuno era seduto stanco sulle panche esterne, gli altri non riuscivo a capire dove fossero andati.
Ricordo soltanto che la signora dell'albergo domando' quali erano le coppie e ci chiese poi di seguirla.
Peccato che saremmo dovuti restare sull'isola soltanto una notte, perché, per la prima volta, la stanza sembrava decente, il bagno era pulito ed ispirava rilassanti docce calde,
il letto era ben diverso da quello di lipari, dove i corpi sprofondavano fin sotto il livello della rete e come esperti fachiri bisognava districarsi tra le molle saltate.
L'isola, poi, era la più carina tra quelle visitate, piccolissima con il porticciolo racchiuso nell'insenatura naturale creata dalle rocce, c'era poi un brevissimo lungomare con un bazar,
due bar, l'albergo e pochissime altre botteghe, tutto concentrato su quell'unica stradina che terminava in una piccolissima piazzetta tonda da cui si poteva osservare tutto l'arco celeste.
Era l'ora del tramonto e tutto rendeva l'atmosfera magica, dopo la doccia ed il rapido riposo, la prima cosa che ho chiesto a Simona è stata di farci una passeggiatina sul cortomare,
sorseggiando una birra di produzione messinese che il bar più vip dell'isola mi aveva rifilato alla modica cifra di due euro e cinquanta.
Sul cortomare, dato che la definizione lungo non sarebbe stata appropriata, abbiamo incontrato Fabrizio che ci ha fatto compagnia raccontandoci un po' della sua terra e dei metodi
che utilizzano i ragazzi per approcciare con le ragazze che passeggiano, la sua irrefrenabile simpatia ha reso l'attesa della cena molto piacevole.
Abbiamo cenato su di una terrazza in legno costruita sul mare, di proprietà dell'albergo che ci aveva procurato camere ed appartamentini e per una volta ancora sono rimasto sorpreso
da quanto siano bravi a cucinare in sicilia. I primi piatti sempre favolosi, al punto che non smetteresti mai di mangiarne, devo essere arrivato a tre o quattro piatti per tipo di primo,
poi il pesce abbondante e fresco tra cui l'ormai famoso pesce spada pezzotto e per non smentire l'andazzo dei giorni precedenti dei pessimi vini rosso e bianco.
Perché mai avrebbero dovuto comprare costose bottiglie di vino, sistemarle in una cantina adeguata, fornire la carta dei vini, stare attenti agli abbinamenti con i cibi serviti ed infine
presentare un conto più salato al cliente quando è possibile cavarsela con pessimi vini locali?
Colpa non solo dei ristoratori, ma della maggior parte degli italiani, incapaci di distinguere un buon vino da uno pessimo, basta infatti un liquido di colore rosso o bianco ed un sapore
leggermente diverso da quello dell'acqua naturale perché lo bevano senza lamentarsi.
La vacanza pero' non è fatta di soli vini ma della la simpatia delle persone del nostro gruppo da un mare limpido e profumato, dalla buona cucina, dal trekking e da un briciolo di riposo
che ogni notte ci veniva concesso fino alla successiva alba.
La vera avventura è cominciata all'alba, con un gruppo di temerari pronto al trekking che ci avrebbe portato in vetta alla cima panoramica di Filicudi,
mentre il secondo gruppo di meno temerari aspettava il pulmino che gli avrebbe fatto evitare la prima parte del trekking su gli enormi gradoni sotto il sole cocente.
Con noi temerari c'era Candida, una donna instancabile che non si tirava mai indietro in fatto di trekking, anche se il suo passo era più lento di quello degli altri e toccava poi aspettarla di tanto in tanto.
E' fondamentale infatti, che ognuno in salita mantenga il proprio passo, per non affaticare il cuore e stancarsi di meno, tanto in penultima posizione c'ero quasi sempre io che mi fermavo
a fotografare gli scorci migliori del paesaggio che man mano si apriva davanti ai miei occhi increduli ed scrutatori. In testa al gruppetto tutti gli altri capeggiati dai due
stambecchi Vera e Davide, che in tutte le escursioni staccavano tutti saltellando allegramente in salita tra i sassi come se non provassero alcuna fatica...
Ritrovati il gruppo dei meno temerari che ancora prima di cominciare faceva una pausa, ci siamo incamminati insieme sui ripidi sentieri, con ancora cinquecento metri di dislivello da affrontare,
per qualche ora di cammino sotto il sole caldo, che nonostante fosse presto cominciava a farsi sentire.
La vetta si affacciava sulla fossa delle felci a quota 774m, e tutta la fatica fatta per raggiungerla veniva abbondantemente ripagata dalla vista a strapiombo che toglieva il fiato.
Rocce in equilibrio sul vuoto del ripido strapiombo che si tuffava in picchiata fino a quella immensa distesa di acqua blu cristallina, sembrava un tuffo di un attimo, un passo nel vuoto
per piombare un secondo dopo nell'acqua, invece di riaffrontare la discesa a piedi dal lato opposto della montagna, per raggiungere il luogo dove la nostra barca ci avrebbe aspettato.
Appena cominciata la discesa verso il mare, Simona mi ha chiesto di andare avanti, scendere rapidamente e passare dal supermercato prima che chiudesse per prendere da mangiare.
Sono partito quindi insieme a Davide lo stambecco per la ripida e sassosa discesa del sentiero opposto, percorrendo il primo tratto di corsa, saltellando sui sassi e scivolando più volte nei punti più sabbiosi.
Dopo molti minuti di discesa, quando le gambe cominciavano a fare male, l'attenzione calava, l'acqua scarseggiava ed il sole era diventato una palla incandescente che rifletteva il sul calore fin dal terreno, ci siamo accorti di esserci persi.
Non riuscivamo più a trovare il sentiero, così abbiamo battutto tutti i possibili tratti che potevano ne avevano le sembianze, ritrovandoci a scendere in dei punti rocciosi e pericolosi dove non era visibile nessun orma del passaggio di altri sprovveduti predecessori.
Evidentemente quel sentiero da anni era stato abbandonato, inghiottito dalla vegetazione e dal franare delle pietre sul terreno arido.
Nonostante tutto abbiamo trovato qualcosa che somigliava ad un vero sentiero e dal basso abbiamo aspettato di vedere gli altri spuntare dalla montagna per urlargli la direzione da prendere per seguire le nostre orme.
Quando gli altri erano tutti a vista ed un gruppetto piccolo di loro ci aveva raggiunto, compreso Candida, che in discesa andava forte, abbiamo ripreso i nostri passi sicuri che dietro sul sentiero ci fossero proprio tutti in fila.
Da quel punto in poi è stato un inferno di sentieri che apparivano e magicamente sparivano, alberi di fichi d'india che impedivano il passaggio, terrazzamenti che bloccavano la discesa, immondizia abbandonata,
tubi per l'irrigazione da cui non fuoriusciva una sola goccia d'acqua ed una sete infernale che mi seccava bocca e gola.
Ci siamo ritrovati in pollai a cercare un po' d'ombra sotto alberelli striminziti, mentre Davide cercava un percorso possibile lasciandosi scivolare nelle terrazze sottostanti.
Davanti a noi, sul fondo della valle si notata la chiesa, punto di riferimento da seguire per raggiungere il molo dove ci attendeva la barca, ma non riuscivamo in nessun modo ad avvicinarci ad esso.
Ad un certo punto, presi dalla più totale disperazione, ci siamo diretti in una casa, dove un signore di mezza incazzato per la nostra presenza ci ha spiegato che quello era il suo giardino e non il sentiero da seguire,
da tempo infatti quel sentiero non era più battuto ne visibile.
Candida allora ha provato a chiedere dell'acqua al signore che impietosito dal nostro aspetto, ci ha ospitato nella sua fresca terrazza, ha chiesto alla moglie di portarci dell'acqua fresca che dalla cucina in siciliano stretto ha risposto con parolacce
ed imprecazioni verso il marito e noi ospiti inattesi, poi è apparsa con un sorriso di circostanza a 32 denti come la dea dell'acqua, con le brocche sotto le braccia versandoci acqua fresca da bere.
Non siamo restati che pochi minuti in quell'improvvisato punto di ristoro dove non ho potuto fare a meno di notare la bellissima bambina nipote della dea dell'acqua, una piccolissima bambina dalla carnagione olivastra e dei grandi occhi neri,
si chiamava come la città perduta della Giordania ed i suoi tratti avrebbero portato chiunque a credere che si trattasse di una bambina orientale.
La madre, se ho ben capito chi fosse, non le somigliava per niente, faceva la fotografa e viveva a napoli, una ragazza magra con gli occhi azzurri come il mare ed i capelli lunghi biondi chiarissimi,
sembrava quasi albina, ha voluto per forza immortalarci in una foto, perché le sembrava una situazione tanto buffa che dei vacanzieri avessero deviso di fare una discesa folle in agosto sotto il sole cocente su di un sentiero abbandonato da anni.
Cosa che in effetti sembrava abbastanza folle anche a me che facevo parte del gruppo dei vacanzieri avventurieri....
Questo miracoloso intervento umano ci ha dato la forza di continuare la discesa verso valle, aprendoci un magico portone nascosto tra la vegetazione che dalla fresca terrazza dava su una lunga scalinata nascosta alla vista che scendeva
fino alla chiesa a valle senza ulteriori difficoltà.
Vicino alla chiesa, rigorosamente chiusa, c'era il famoso ufficio postale che tutti ci avevano detto di visitare, un operaio stanco stava per chiudere quando meravigliato di incontrare persone in quella zona desolata dell'isola ci ha concesso per un attimo di dare un occhiata dentro.
Niente di particolare, un normalissimo ufficio postale costruito in un vecchio frantoio di cui restavano visibili le mastodontiche attrezzature. A causa delle tante persone che ci avevano parlato di un luogo da vedere assolutamente,
mi ero fatto l'idea di una costruzione dall'architettura geniale come quelle Gaudìane a barcellona, ma avevo sbagliato lasciando veramente troppo spazio all'immaginazione.
Mancanvano ancora poche centinaia di dolorosi gradini dall'ufficio postale al molo, dove la barca ci attendeva da più di un ora, e Roberto era già impaziente di andare a pescare per far da mangiare a chi avesse deciso di restare a pranzo in barca.
Questa volta non avrebbe fatto la solita pasta con il tonno in scatola, tenendosi per lui il bottino della pesca, ma il pesce fresco sarebbe finito fritto in pastella, pesce in quantità per soli 7€ a persona.
Io dovendo aspettare Simona e gli altri superstiti che ancora mancavano all'appello, sono andato a recuperare dell'acqua fresca da bere, due arancine di riso al ragù ed un un po' di frutta fresca tra i negozietti di alimentari e la tavola calda presente nei vicoletti del molo.
C'è voluto del tempo prima che cominciassero a comparire piano e separati i superstiti di quella folle giornata di trekking, ma la cosa strana e preoccupante era che dopo un ora e mezza, Simona, Silvia Fabrizio e Mirco mancavano ancora all'appello.
E' stata interminabile l'attesa che faceva crescere la preoccupazione che fosse successo qualcosa di brutto a Simona o uno di loro, nessun cellulare prendeva ed io come uno stupido non ricordavo nemmeno il numero di simona che non potevo recuperare dal cellulare scarico.
Fortuna ha voluto che siano riapparsi finalmente, Simona era incazzata nera perché spaventata a morte ed arrabbiata con me per non averla aspettata, al punto da non volere nemmeno mangiare le cose che avevo comprato per lei. Simona che non mangia era davvero un qualcosa di preoccupante per me,
perché di solito diventa una belva quando ha fame, Ho rivissuto quindi una scena della mia vita precedente, con la mia ex ed una salita sui monti del parco nazionale d'Abruzzo. Lei a metà salita aveva deciso con un'amica di ridiscendere per la stanchezza ed io invece avevo continuato
con pochi altri folli la salita fino in cima, ripresentandomi poi dopo più di due ore e scatenando una lite durata mesi. Una decisione che mi era costata l'incrinazione di un rapporto che credo non si sia mai ripreso del tutto da quella volta.
Fortunatamente ogni persona è diversa e Simona, ha reagito in maniera matura all'accaduto, comprendendo le mie ragioni, il fatto che fosse stat lei a chiedermi di affrettarmi per comprare da mangiare e che anche per noi come per tutti gli altri,
la discesa fosse stata complicata e ci avesse portato a perderci finendo poi aiutati dalla stessa famiglia che aveva aiutato anche loro a venirne fuori.
Filicudi è stata la prima dura parte dell'avventura, terminata fortunatamente con un rilassante pomeriggio in mare.
Mentre alcuni mangiavano il pesce pescato e cucinato da Fabrizio e Roberto, gli altri se ne stavano in ammollo, lasciando che il fresco dell'acqua rinfrescasse oltre che il fisico provato dallo sforzo, la mente.
L'avventura non era finita lì, dopo il breve viaggio che ci avrebbe portato alla minuscola isola di Alicudi, ci attendevano infinità di scalini ed una serata non propriamente rilassante.