Prima ancora di toccare terra ad Alicudi era scoppiata una complessa discussione portata avanti da Daniele, il nostro coordinatore,
sulla sistemazione che avremmo dovuto prendere una volta arrivati sull'isola.
Quelli di noi che l'altra sera avevano per primi preso le stanze a
Filicudi sono stati accusati di aver fatto i furbi, approfittato delle stanze migliori prima che gli altri potessero decidere.
Una tesi davvero fastidiosa ed assolutamente infondata, nella quale eravamo stati inclusi anche io e Simona, che non avevamo proprio fatto niente per farci assegnare un buco di camera doppia.
Avevamo appena messo piede oltre la soglia di ingresso dell'albergo e ce ne stavamo assorti nelle guide fotografiche, trovate in bella mostra su di un espositore nel primo angolo a destra della hall,
quando la proprietaria ha trascinato me e simona ed altre tre ragazze del gruppo nelle camere migliori che avevano.
Destinando di conseguenza, man mano che gli altri arrivavano camere di qualità sempre peggiore.
Questo che agli occhi di tutto il resto del gruppo è passato come un trattamento di favore, ha generato una mega discussione inutile, che a me e Simona proprio non andava di fare.
La nostra capacità di adattarci a tutti i tipi di sistemazione, non credevamo potesse essere messa in discussione, così per smorzare le chiacchiere, abbiamo chiesto al gruppo di scegliere per noi tutte le sistemazioni per i giorni seguenti.
Discutere in vacanza per qualcuno può essere la norma, ma per noi la vacanza è il momento di liberarci di tutte le tensioni e quindi bisogna cercare di viverla con leggerezza.
Ad Alicudi c'erano solo due gruppi di camere, alcune poste a cento metri di quota ed altre ai duecento. La cena però si sarebbe dovuta svolgere nell'unico ristorante dell'isola presente a quota 200 metri e quindi tutti ci saremmo dovuti recare a cena li.
Quelli che alloggiavano di sotto, avrebbero dovuto salire cento metri di dislivello di scaloni per andare a cena e poi ridiscenderli per tornare a dormire giù.
Così la discussione si è conclusa con la decisione di sistemare noi cinque cospiratori più altri 5 sfortunati presi a caso nelle stanze al livello sottostante e tutti gli altri su in cima vicino al ristorante di Rosetta, unica padrona di case, ristorante e forse dell'isola.
Noi sfigati dei piani bassi avevamo però preso una decisione importante, l'indomani mattina non ci saremmo svegliati all'alba con gli altri per andare a fare il trekking fino in cima all'isola,
ma avremmo approfittato di un paio d'ore in più per restare stramazzati a letto aspettando il gruppo di ritorno.
Alicudi è una piccolissima isola delle Eolie sulla quale non esistono strade percorribili con mezzi a motore. Una specie di mega roccia emersa dal mare con un piccolissimo molo e ripide scalinate che si arrampicano fino in cima all'isola.
Per salire su i bagnagli si possono pagare dei trasportatori che li legano sui dorsi degli asini, ma noi che ci sentivamo giovani, forti ed eroici scalatori, li abbiamo portati in spalla fino alle prime camere.
E' stato massacrante raggiungere con tutti i bagagli le prime camere, gli zaini sembravano pesare centinaia di chili, come se avessimo sulle spalle le scatole contenenti le armature dei cavalieri dello zodiaco.
La stanchezza accumulata durante il giorno, tra trekking e lungo viaggio in barca ci aveva provato al punto che ogni passo innalzato sullo scalone successivo mi sembrava facesse esplodere e bruciare tutti i muscoli della gamba. Un allenamento che sarebbe stato degno dei monaci tibetani.
L'aria era rarefatta e man mano che si saliva non si aveva la sensazione di freschezza, ma di respirare una sorta di vapore opprimente che ci toglieva anche l'ultimo
anelito di fiato rimasto nei polmoni.
La mia autostima e la forza di volontà erano provate al punto che avrei preferito lasciarmi cadere e svenire sugli scaloni, piuttosto che fare un altro passo verso l'alto.
Simona imprecava e chiedeva pietà, affermando che per nessuna ragione al mondo sarebbe salita fino al ristorante, le sarebbe bastato restare stessa su un letto a riposare, pur di non fare neanche un altro scalino.
Ma conoscendola bene, sapevo che quelle non erano altro che chiacchiere, nessuno l'avrebbe mai tenuta lontana dalla cena, appena la fame si sarebbe presentata.
La signora Rosina, proprietaria del ristorante, delle abitazioni e forse dell'intera isola su cui era nata e cresciuta, non aveva mai lasciato l'isola in vita sua. Non si era mossa da li nemmeno per una visita medica o un controllo, era davvero parte integrante di Alicudi e scortese come pochi.
Con estremo disprezzo ed in maniera frettolosa ci ha mostrato le nostre stanze, tre locali senza finestre, non comunicanti tra loro con un unico accesso che dava su di un portico. Sembravano una serie di box auto o vecchie cantine riadattati a camere per turisti.
Nella prima camera c'erano quattro letti che aveva destinato a 3 delle ragazze del gruppo, nella seconda altri quattro letti per altrettante ragazze e nell'ultima camera con tre letti ci saremmo dovuti sistemare noi, un gruppo di tre ragazzi.
Ovviamente le camere non erano munite di bagno, ma per fortuna il portico che collegava tutte le camere era fornito di un'altra piccola stanzetta esterna che faceva da bagno per noi dieci, più tutti i membri di una famiglia di turisti che alloggiava nel loculo accanto ai nostri.
Nelle camere cieche non c'era alcuna forma di condizionamento dell'aria e la sola porta di ingresso lasciata spalancata non bastava a far diminuire la temperatura interna che raggiungeva quella di un altoforno.
Bastava soltanto entrare nelle camere per cominciare a sentire le goccioline di sudore sgorgare dai pori della pelle, come se ci trovassimo in una specie di sauna Finlandese.
Il bagno era dotato di tutti i comfort possibili, aveva una doccia interna collegata direttamente ad un tubo esterno, spacciato come doccia aggiuntiva.
Entrambi erano poi collegati ad un lavabo per i panni, quindi, se uno dei tre veniva aperto, gli altri due risultavano completamente inutilizzabili.
Per affrontare la situazione con perizia militare, abbiamo deciso di fare dei turni con segnalazione acustica vocale, c'era il turno dedicato all'insaponamento,
poi si dava tempo a chi fuori aveva bisogno di sciacquare i panni, poi un po' d'acqua a chi faceva la doccia all'esterno con il tubo, poi di nuovo nel bagno e così via.
La cosa più problematica era però usufruire del bagno per alcune funzioni fisiologiche complesse, cosa che comportava l'interruzione dell'uso docce interno e la successiva necessità di arieggiare il locale prima di soggiornarvi nuovamente.
In tutto questo, i tempi erano diventati brevi, dovevamo recarci 100 metri di gradini più sopra perché ci aspettavano per cena ed andavano anche di fretta.
Se avessimo voluto un ventilatore ci sarebbe costato cinque euro in più sul prezzo della camera, se avessimo voluto dell'acqua forse con un paio di euro ce la saremmo cavata, qualsiasi altra cosa ci sarebbe costata denaro, mentre per molte altre non sarebbe bastata nemmeno una mastercard oro.
Rassegnati quindi alla condizione dell'alloggio, discutevamo sul motivo che ci aveva portati su questa piccola ed insignificante isola delle Eolie dove non si poteva fare a meno di Rosina per qualsiasi cosa.
Osservavo la ripida scalinata che dal basso si inerpicava verso la cima dell'isola, unica via di comunicazione tra le poche case che ogni tanto spuntavano tra la vegetazione.
Ero incuriosito dai muli, utilizzati dagli abitanti come mezzo di trasporto. Carichi di generi alimentari e casse d'acqua potabile li guidavano tenendoli per una corda su per le scale.
Quelli che non avevano un carico da trasportare salivano in groppa al mulo e si lasciavano trasportare, godendosi il paesaggio e le note di colore offerte dal sole che cominciava a tramontare.
L'aria era così ferma che si sudava perfino a respirare, cercavo di non muovere nemmeno un muscolo, di restare immobile per preservare asciutta la maglietta appena indossata.
Tutti erano in fermento per riuscire a prepararsi in tempo, mentre Simona continuava a lamentarsi e dire che non sarebbe salita fino a sopra solo per cenare.
Quando eravamo finalmente tutti pronti, dal fondo della scalinata notammo le sagome di due figure conosciute salire verso di noi. Erano Roberto e Fabrizio e per loro era ancora più faticosa la salita, visto che arrivavano dal molo solamente per venire a cena.
Il tragitto in salita verso il ristorante non fu poi così penoso, l'imbrunire rendeva ogni nostro passo più romantico, mentre la fame ci spingeva a compiere questo ennesimo sforzo.
Inoltre Roberto, come faceva in ogni momento della giornata, aveva deciso di regalarci alcune delle sue barzellette colorite, rendendo il tragitto anche divertente. Ne aveva sempre qualcuna nuova da tirar fuori.
Il ristorante non era niente di architettonicamente sconvolgente, ma era piacevole cenare in quella specie di lunga veranda con una piacevole vista sul mare.
Inoltre come sempre, fino a quel momento, il cibo era ottimo, avevamo una fame incredibile, tanto da aver fatto una scorta di pasta senza precedenti. Non ricordo quanti piatti di pasta sono riuscito a mangiare e così anche gli altri,
tanto che quando è arrivato per secondo del pesce grigliato, l'abbiamo lasciato quasi tutto nel vassoio.
Forse sarebbe stato meglio mangiare più pesce e meno carboidrati, ma la fame e la stupida ingordigia mi avevano costretto ad alimentarmi nella maniera meno corretta possibile.
Questa volta il vino non era male, un bianco della casa che si pagava chiaramente a parte rispetto alla cena. Però mi sono limitato solo ad assaggiarlo, non volevo bere troppi alcolici, il mal di terra con tutte quelle ore di navigazione era sempre in agguato e non volevo spingere il mio corpo a dover stare male.
La cosa strana è che non mi dava fastidio stare in barca, ma appena mettevo piede sulla terra ferma cominciavo ad avere una strana sensazione di dondolamento, forse una compensazione che il corpo aveva attuato in automatico durante la navigazione. Quindi gonfiarsi di vino e cibo, mi sembrava pericoloso.
Un totale buio avvolgeva l'isola dopo il tramonto e la cena, l'unica cosa che si riusciva a vedere erano le stelle che brillavano imponenti nel cielo, difficilmente ricordo cieli stellati simili in altri luoghi d'Italia,
forse perché con la smania di illuminare tutto abbiamo oscurato anche il più meraviglioso degli spettacoli della natura, il cielo.
Nell'oscurità quasi totale, rotta solo dalla luce del ristorante e nel più dirompente dei silenzi, me ne stavo seduto su uno scalino di fianco al ristorante cercando di attivare a fatica la digestione dell'indegna quantità di pasta ingurgitata.
Guardavo la scalinata sottostante che si tuffava nel buio più assoluto, il primo scalino, il secondo, il terzo, forse il quarto e poi più niente, come se non ci esistesse niente altro nel mondo che il ristorante di Rosina sospeso sul vuoto.
Mentre me ne stavo assorto nei miei pensieri, riflettendo su quanto un essere umano sia insignificante rispetto all'immensità dell'universo, sono stato raggiunto da tutti gli altri alloggianti alle zone basse dell'isola.
Qualcuno si è seduto vicino a me sugli scalini, altri se ne stavano in piedi a chiacchierare e fumare qualche sigaretta. Io per illudermi che mi aiutasse a digerire, ma in verità per una nostalgia del fumo, mi accesi un piccolo sigaro cubano.
Osservavo la punta del sigaro arroventarsi quando tiravo dentro l'aria ed assaporavo il sapore piacevole che restava intrappolato tra la mia gola e la lingua dopo aver espulso il fumo acre.
Mi accorgevo che tutti restavano in uno strano silenzio che non credo dipendesse dall'ammirazione per la natura circostante, ma più che altro dalla stanchezza accumulata, sia mentale che fisica.
Dopo un'interminabile stato di catalessi collettiva, qualcosa ci destò dal nostro stato di indifferenza al mondo esterno, Roberto e Fabrizio con il loro fracasso abituale
avevano terminato le pratiche tecniche con Rosina e Daniele ed erano pronti a ridiscendere sulla barca, accompagnandoci fino ai nostri lussuosi alloggi.
Improvvisamente, come per magia, dalle tasche di tutti spuntarono fuori ogni sorta di torcia elettrica, c'era gia qualcuno che aveva i primi modelli a 5 led,
chi aveva quella da 10 led, chi aveva due torce e così via.
Dal nulla era apparsa una potenza luminosa che avrebbe fatto invidia a qualsiasi speleologo ed illuminato la nostra discesa negli inferi di Alicudi.
Così gradone dopo gradone, nel silenzio della notte rotto da poche parole pronunciate sottovoce e dalle barzellette di Roberto, nella nostra bolla di luce artificiale visibile forse dalle imbarcazioni dei viaggiatori più di un faro del porto, l percorso, rendendoci forse visibili a centinaia di metri dalle imbarcazioni del luogo,
siamo ridiscesi fino alle camere, congedandoci dai due marinai che sarebbero tornati a dormire in barca.
Nonostante la stanchezza fosse parte integrante di noi, per un po' di tempo nessuno abbandono la terrazza per ritirarsi nelle proprie stanze.
Rimanemmo riuniti sotto il portico comune a chiacchierare della giornata passata e del giro di boa della vacanza ormai superato. Mentre parlavamo, ogni tanto qualcuno spariva per un attimo, mentre parlavamo spariva per un secondo per poi
apparire di nuovo trasformato. Dal nulla sbucavano camice da notte, pigiamini colorati in cotone, maglie intime e pantaloncini.
Eravamo pronti per la notte, ma faceva talmente caldo che nessuno riusciva a confinarsi nella propria stanza per il sudario notturno.
Così nel momento di disperazione più totale, qualcuno fece il primo passo verso l'unica soluzione possibile,
entrò in camera si incollò rete e materasso e portò fuori il letto sotto il portico aperto.
Quell'atto di coraggio fu seguito dal trasferimento all'esterno del secondo letto, poi il terzo e così via tutti gli altri.
Le camere crematorie erano completamente vuote, anche perché oltre ai letti non c'era assolutamente niente, mentre il portico ora appariva come una mega letto lunghissimo.
Qualcosa di speciale quella sera ci univa, forse l'esperienza del viaggio insieme, la stanchezza estrema e le fatiche affrontate insieme su per le alture delle Eolie,
il fatto di esserci dispersi qualche giorno prima ed essere ancora li vivi a raccontarlo, l'essere rimasti senza acqua sotto il sole cocente, tutte cose che avevano creato un'intesa ed un legame speciale.
Se avessimo avuto un unico letto gigante avremmo dormito tutti insieme guardando le stelle nel cielo e chiacchierando fino a crollare nel sonno.
Ma ne avevamo tanti, sparsi per il portico e così come mine vaganti in cerca di chissà che cosa,
ci trascinavamo da un letto all'altro in cerca di una zona di lenzuolo fresco e qualche attimo ancora di compagnia,
come se prolungando la notte si riuscisse in qualche modo a rallentare lo scorrere del tempo e fermare l'avvicinarsi degli ultimi giorni di vacanza.
Ricordo poco di quella mattina successiva, se non il sole obliquo che oltrepassava il portico per investire in pieno la mia schiena e gran parte del letto,
sentivo le goccioline di sudore scivolarmi sul collo e sulle spalle, provocarmi dei brividi freddi, mentre il calore del sole diventava sempre più intenso.
Sentivo il mio corpo sempre più caldo ed il letto era diventato zuppo di sudore, non potevo resistere oltre e mi alzai.
Aspettando che si svegliassero anche tutti gli altri il mio pensiero andò a quei poveri irriducibili che erano partiti per l'ennesima giornata di trekking sotto il sole,
alzandosi alle prime luci dell'alba per arrampicarsi tra sentieri assolati fino alla cima di Alicudi.
Loro sotto il sole a camminare e noi a riposare nei letti sotto il portico. Non mi dispiaceva affatto aver rinunciato per un giorno alle fatiche fisiche per dedicare la mattinata
al riposo, il risveglio lento ed i bagni nel mare azzurro sulla nostra imbarcazione,
raggio di sole.