La mia nonna paterna era con noi la nonna migliore che un bambino possa immaginare. Le poche volte che andavamo a pranzo dai nonni era una festa per me.
Appena entrati in casa salutavo i miei nonni e correvo subito in salotto. Sul mobile c'era un largo contenitore di
plastica arancione con la forma di un ufo. Alzavo il coperchio e ci trovavo i miei biscotti preferiti. La nonna li comprava sempre sapendo del mio arrivo nostro arrivo.
Mi nonna era una donna elegante, con un aria un pochino aristocratica, abitava in una delle zone più lussuose di Napoli e probabilmente proveniva da una famiglia agiata.
Ogni tanto prendeva il caffè avanzato e lo lasciava cadere a gocce nel barattolo dello zucchero, poi agitava il barattolo e
come per magia queste gocce si trasformavano in morbide palline di zucchero marroni che dava a noi bambini.
Le caramelle di caffè della nonna sono il ricordo più dolce di tutta l'infanzia, non vedevo l'ora che mia nonna le preparasse,
si scioglievano in bocca lasciando l'aroma del caffè mentre con i denti rompevo i residui cristalli di zucchero che si annidavano tra i denti.
Quando non c'era del caffè avanzato allora mi nonna si dava ad una magia più complicata. Prendeva un pentolino, ci lasciava cadere un po' di
zucchero e lo metteva sulla fiamma. Pian piano lo zucchero cominciava a sciogliersi e diventare scuro, liberando nell'aria una aroma dolciastro,
poi nonna prendeva un coltello bagnato e cominciava a tagliare questo strano composto.
Alla fine da quel pentolino tirava fuori delle caramelle marroni, sottili e geometricamente irregolari. Le chiamava caramelle d'orzo e non ho
mai capito cosa che c'entrasse l'orzo con quelle caramelle di zucchero abbrustolito.
Erano così dure da masticare che avrei potuto giocarmi qualche dente facendolo, invece lasciarle sciogliere in bocca era il modo migliore per
gustarne il succo dolce e quell'aroma caramellato ed abbrustolito che ne veniva fuori.
La pazienza di mia nonna non si limitava alle caramelle ed i biscotti ma era immensa ed universale.
Pur di farmi mangiare la frutta, dopo ore che aveva combattuto con il primo ed il secondo piatto imboccandomi dalla prima all'ultima forchettata,
prendeva un cucchiaino e cominciava con la mela.
Per prima cosa tagliava con un coltello la mela in due esatte met‡, poi con una met‡ della mela in una mano ed il cucchiaino nell'altra,
cominciava a strofinare la parte interna del cucchiaino sulla mela fino a riempire il cucchiaino di purea di mela. Io stranamente catturato da
questo gesto di estrema pazienza e gentilezza mangiavo ogni boccone di mela fino a finirla completamente.
Non ho mai sentito mia nonna lamentarsi o sbuffare nel trattare con noi bambini, se non c'era la mela e c'era solo l'uva la vedevi prendere un
coltello, spellare i chicchi d'uva uno per uno, tagliarli poi in due met‡, togliere i semini interni e darci quella polpa tenera con il cucchiaino.
Quando non ci doveva dare da mangiare, trovava sempre il tempo di stare con noi, finiva le faccende in fretta e poi veniva a raccontarci delle storie.
C'era una specie di filastrocca che ci ripeteva sempre, parlava di una vecchietta sola che affacciata alla finestra cercava un animale da compagnia e
lo trovava in un piccolo topolino. E' una storia con un finale drammatico ma educativo. Io e mia sorella avremo ascoltato quella storia migliaia di
volte ma continuavamo a chiedere a nostra nonna di raccontarcela.
Mia nonna divenne triste quando lasciòla propria casa in affitto da una vita intera per trasferirsi a vivere con mia zia lontano da Napoli.
Lei più del nonno soffriva questo trasferimento, al punto che mi sembrò di vederla invecchiare tutto d'un colpo.
Non curava più i suoi capelli e non si vestiva più in maniera elegante come era abituata a fare da giovane. Aveva smesso perfino di indossare
il suo profumo. Se ne stava per di più in vestaglia, seduta su una sedia e guardava con mio nonno gli episodi dell'ispettore Derrick.
Mi piaceva starmene seduto tra loro a guardare Derrick, anche se non è che fosse il mio programma preferito, non vedevo l'ora che cominciasse.
Una mattina, senza alcun segno di malattia o malessere, ci chiamarono per dirci che la nonna si era accasciata in bagno ed era morta.
Lentamente il suo spirito vitale e la voglia di vivere l'avevano abbandonata fino a portarcela via.
Quanto vorrei ascoltare ancora una volta quella sua voce calda e rassicurante mentre recita per me la filastrocca della vecchietta ancora una volta. Quanto vorrei abbracciarla forte e dirle quello che un bambino troppo timido non è mai riuscito a dirle. Nonna ti voglio bene.