Il mio nonno paterno era un uomo piccolo, me ne sono accorto da grande, perchè da piccolino i grandi sembrano tutti molto grandi. Un piccolo uomo con un grande carattere. Ricordo che per vivere faceva il cameriere ma lo faceva con una passione ed una nobiltà che non ho mai visto in nessun lavoratore.
A mio nonno piaceva cantare le canzoni classiche napoletane, quando lo faceva tutti restavano incantati. Aveva una voce forte e profonda ed un intonazione paurosa. Spesso nel ristorante dove ha servito per tutta la vita gli chiedevano di cantare per i commensali, allora quel piccolo uomo di una sobrietà esagerata si trasformava nell'attrazione della serata.
Della sua figura, ricordo l'eleganza dei cappotti e quel cappello cammello che non mancava mai a cingergli il capo.
Non era facile rapportarmi con lui, almeno fin quando sono stato un ragazzino il suo carattere austero d'altri tempi impediva ogni sorta di comunicazione.
Mio nonno non diceva mai parolacce, si esprimeva sempre in maniera pulita tranne quando giocava il Napoli, l'unica cosa che metteva a nudo le sue debolezze umane erano le partite del Napoli.
La domenica si attaccava alla radiolina e nessuno poteva disturbarlo, per ogni azione sbagliata si arrabbiava e diventava rosso come un peperone. Quando poi la squadra perdeva o pareggiava, per ore diventava intrattabile e nervoso.
Il calcio era l'unica debolezza di mio nonno, una debolezza che lo mostrava più umano ai miei occhi di bambino.
Un giorno mio nonno mi mostro una bellissima fisarmonica di madreperla, era così pesante che non riuscivo a reggerla e disse che un giorno quando sarebbe morto quella fisarmonica sarebbe stata mia. Mi disse che in famiglia solo io portavo il suo nome e che quindi spettavano a me sia la fisarmonica che il suo orologio d'oro.
Io ci credetti ma poi quando morì nessuno mi diede niente di quelle due cose. Probabilmente le cose spettano a chi se le prende.
Da piccolo adoravo restare a casa dei miei nonni, mi sentivo sicuro in quella grande casa dai soffitti altissimi con i mobili antichi che puzzavano di naftalina.
Non ricordo cosa facesse mio nonno durante la giornata, il più delle volte usciva a fare delle commissioni. Quando c'era invece spariva da qualche parte in casa oppure guardava la tv. Spesso per parlarci usavo come intermediaria mia nonna che era molto più pratica nella comunicazione con me ed i bambini in generale.
Quando mio nonno si ammalò e visse i suoi ultimi anni nel dolore, ormai non lavorava più, se ne stava a casa ad aspettare le partite della domenica, in quel periodo io ero cresciuto e lavoravo e stranamente riuscivo meglio a penetrare quella sua corazza d'uomo tutto d'un pezzo.
Le sofferenze della malattia e la perdita di mia nonna avvenuta qualche anno prima l'avevano reso più debole e di conseguenza più socievole.
Non riusciva più a tenere su quel muro di orgoglio ed oltre che un nonno era diventano un amico.
Se ne stava seduto sulla poltrona riparandosi dal freddo con una coperta cammello. Da anni ormai viveva con i miei zii e questo mi permetteva di aprire la porta e suonare a quella di fronte sul pianerottolo per andare a trovarlo.
Era sempre piacevole passare da lui anche per un solo sorriso, riusciva in qualche modo a mettermi di buon umore sapere che era li e voleva chiacchierare del più e del meno.
Un giorno mio nonno morì, ci lascio per raggiungere sua moglie. Da allora non ho più visto lunghi cappotti e larghi ed eleganti cappelli.
Oggi mi accorgo che mi manca quell'uomo che era diventato da vecchio, quei suoi sorrisi rassicuranti e le banali discussioni sulle sorti del Napoli calcio.